La novella di Ser Ciappelletto è la prima del Decameron di Giovanni Boccaccio, narrata da Panfilo durante la prima giornata. Il tema della giornata riguarda "ciò che più aggrada a ciascuno", e questa novella introduce alcuni temi fondamentali dell'opera: l'ipocrisia religiosa, l'inganno, la corruzione morale e il contrasto tra apparenza e realtà.
Il protagonista, Ser Cepperello da Prato (soprannominato Ciappelletto in Francia), è un notaio e un uomo malvagio che, in punto di morte, inganna un frate confessore facendogli credere di essere stato un uomo virtuoso. La novella serve a Boccaccio per mostrare come spesso la religiosità esteriore possa essere ingannevole e come il giudizio degli uomini sia fallibile rispetto a quello divino.
La novella è particolarmente significativa poiché apre l'intero Decameron, stabilendo immediatamente il tono ironico e critico dell'opera nei confronti dell'ipocrisia religiosa e dei costumi del tempo.
La novella inizia con Panfilo che introduce il tema della misericordia divina, spiegando come Dio guardi più alla purezza della fede dei credenti che all'effettiva santità dell'intermediario a cui si rivolgono le preghiere.
Il protagonista della storia è ser Cepperello da Prato, chiamato Ciappelletto in Francia, un notaio famoso per la sua disonestà e malvagità. Boccaccio lo descrive come un uomo dai costumi depravati: falsifica documenti, rende false testimonianze, provoca discordie, partecipa a omicidi, bestemmia, non frequenta mai la chiesa e disprezza i sacramenti. È goloso, ubriacone, giocatore d'azzardo e baro. In sostanza, è "il piggiore uomo forse che mai nascesse".
Un ricco mercante italiano in Francia, Musciatto Franzesi, sta per rientrare in Italia e ha bisogno di qualcuno che recuperi i suoi crediti dai borgognoni, noti per essere disonesti. Sceglie Ciappelletto per questo incarico proprio perché la sua malvagità è pari a quella dei borgognoni.
Ciappelletto accetta e si stabilisce in Borgogna a casa di due fratelli fiorentini che fanno gli usurai. Durante il soggiorno, si ammala gravemente. I due fratelli sono preoccupati: sanno che se Ciappelletto morirà senza confessione, essendo così malvagio, nessuna chiesa accetterà il suo corpo che finirà in una fossa comune. Questo potrebbe scatenare la rabbia della gente locale contro di loro, che potrebbero essere cacciati o uccisi.
Ciappelletto, che ha ascoltato la loro conversazione, li rassicura dicendo che sistemerà tutto e chiede loro di chiamare un frate per confessarsi. I due fratelli chiamano un frate anziano, noto per la sua rettitudine e saggezza.
Durante la confessione, Ciappelletto compie il suo capolavoro di ipocrisia: si presenta come un uomo virtuoso che si confessa settimanalmente, vergine, fedele ai digiuni, generoso con i poveri a cui destina metà dei suoi guadagni, e particolarmente scrupoloso nel rispetto della religione. Quando il frate gli chiede dei suoi peccati, Ciappelletto confessa solo "colpe" insignificanti come aver sputato in chiesa o aver fatto pulire la casa di sabato, esagerando il suo pentimento per questi piccoli "peccati".
Il suo più grande "peccato", per cui piange e si dispera, è aver bestemmiato sua madre da bambino. Il frate, commosso, lo assolve convinto di avere davanti un santo.
I due fratelli, che hanno ascoltato tutto da dietro un divisorio, faticano a trattenere le risate per l'incredibile capacità di Ciappelletto di ingannare il frate.
Ciappelletto riceve l'eucaristia e muore poco dopo. Il frate, convinto della sua santità, convince il priore e gli altri frati a organizzare un funerale solenne. Durante il sermone funebre, esalta le virtù del "santo", raccontando alla gente l'episodio della bestemmia alla madre come prova della sua sensibilità. La popolazione locale, colpita dal racconto, inizia a venerare il corpo di Ciappelletto, che viene sepolto nella cappella del convento e diventa oggetto di venerazione popolare con il nome di "san Ciappelletto", a cui vengono attribuiti numerosi miracoli.
Panfilo conclude la novella riflettendo sull'ironia della situazione: Dio, nella sua infinita bontà, ascolta le preghiere dei fedeli anche quando queste sono rivolte ad un falso santo, guardando più alla sincerità della fede che alla reale santità dell'intermediario.
Musciatto Franzesi fu un reale mercante e banchiere fiorentino vissuto tra il XIII e il XIV secolo (morto intorno al 1336). Insieme al fratello Albizzo, accumulò una grande fortuna in Francia al servizio del re Filippo IV il Bello, per cui svolse anche funzioni diplomatiche. Il suo soprannome "Musciatto" deriva probabilmente da "mousquette" (moscato in francese).
Franzesi fu effettivamente coinvolto nelle operazioni finanziarie e politiche tra Francia e Italia. Collaborò con la corona francese nella riscossione delle tasse e partecipò all'organizzazione del celebre attentato di Anagni contro papa Bonifacio VIII nel 1303, episodio che Dante cita nella Divina Commedia (Purgatorio XX, vv. 85-90).
Il riferimento di Boccaccio a Musciatto Franzesi che torna in Italia con Carlo di Valois (chiamato nella novella "Carlo Senzaterra") riflette eventi storici reali: nel 1301 Carlo di Valois, fratello del re di Francia Filippo IV, venne in Italia su richiesta di papa Bonifacio VIII per intervenire nelle questioni politiche toscane, e Musciatto lo accompagnò in questo viaggio.
Carlo di Valois (1270-1325), chiamato nella novella "Carlo Senzaterra", era fratello del re di Francia Filippo IV il Bello. Il soprannome "Senzaterra" (in francese "Sans Terre") gli fu dato ironicamente perché, nonostante i numerosi titoli e le ambizioni a vari troni (di Aragona, di Sicilia, dell'Impero di Costantinopoli), non riuscì mai a ottenere un vero regno.
Nel 1301 venne in Italia chiamato da papa Bonifacio VIII per intervenire nelle lotte tra guelfi e ghibellini in Toscana. Il suo arrivo a Firenze favorì il ritorno al potere dei guelfi neri e l'esilio dei guelfi bianchi (tra cui Dante Alighieri). La sua azione politica in Toscana fu criticata dai contemporanei per la brutalità e per aver tradito le aspettative di pacificazione.
Benedetto Caetani, divenuto papa con il nome di Bonifacio VIII (1230 circa - 1303), fu pontefice dal 1294 al 1303. Il suo pontificato fu caratterizzato dal tentativo di affermare la supremazia del potere papale su quello temporale, entrando in conflitto con i poteri secolari, in particolare con il re di Francia Filippo IV il Bello.
Con la bolla "Unam Sanctam" (1302) affermò il principio della sottomissione del potere temporale a quello spirituale. Il conflitto con Filippo IV culminò nell'episodio noto come "lo schiaffo di Anagni" (1303), quando truppe francesi, guidate da Guglielmo di Nogaret e con la partecipazione di Sciarra Colonna e di Musciatto Franzesi, assaltarono il palazzo papale di Anagni per catturare il pontefice. Bonifacio VIII fu liberato dalla popolazione locale, ma morì poco dopo a Roma.
Dante Alighieri, contemporaneo di Boccaccio, colloca Bonifacio VIII nell'Inferno tra i simoniaci (Inferno, canto XIX), criticandolo duramente per la sua politica e per la corruzione.
La novella di Ser Ciappelletto è un esempio perfetto dell'abilità narrativa di Boccaccio e della sua capacità di mescolare ironia, critica sociale e riflessione morale. Attraverso il personaggio di Ser Ciappelletto, Boccaccio esplora temi come l'ipocrisia religiosa, la corruzione morale e la fallibilità del giudizio umano.
Uno degli aspetti più interessanti della novella è il contrasto tra l'apparenza e la realtà. Ser Ciappelletto, un uomo profondamente malvagio, riesce a ingannare un frate e a farsi passare per un santo. Questo inganno mette in luce la superficialità con cui spesso vengono giudicate le persone e la facilità con cui l'apparenza può essere manipolata per ottenere vantaggi personali.
La critica di Boccaccio all'ipocrisia religiosa è evidente. Ser Ciappelletto, nonostante la sua vita di peccati, viene venerato come un santo dopo la sua morte. Questo paradosso serve a Boccaccio per mettere in discussione la validità delle istituzioni religiose e la loro capacità di discernere il vero dal falso.
Infine, la novella riflette anche sulla misericordia divina. Nonostante l'inganno di Ser Ciappelletto, Dio continua a rispondere alle preghiere dei fedeli, dimostrando che la sincerità della fede è più importante della santità dell'intermediario. Questo messaggio di speranza e misericordia è uno dei temi ricorrenti nel Decameron e rappresenta una delle chiavi di lettura dell'opera di Boccaccio.